venerdì 25 settembre 2009

Heiwa, la filosofia della pace

Articolo sulla filosofia giapponese della pace pubblicato dal sito Nipponico.com alla voce Heiwa.

Heiwa. La filosofia giapponese della pace
di Cristiano Martorella

6 ottobre 2002. Heiwa in giapponese significa pace. Il suo contrario è la guerra. Ma che cos’è la guerra? La guerra sembra la naturale condizione dell’uomo e numerosi etologi hanno cercato di confermare questa opinione con le loro ricerche (1). Eppure non si tratta affatto di una condizione biologica bensì sociale. La guerra degli umani non si riduce a una istintualità animale, ma smuove un’organizzazione sociale e tecnologica caratterizzata da un cinismo e spietatezza incommensurabili. La guerra caratterizza l’uomo a tal punto che i paragoni sostenuti dagli etologi sembrano ridicoli motti di spirito. Topi e formiche sono stati invocati a testimonianza della tesi che vorrebbe spiegare la guerra con basi biologiche. Purtroppo nessuna specie animale ha mai raggiunto le vette dell’umanità nell’esecuzione dello sterminio di massa. Il salto qualitativo operato dall’uomo è tale che ignorarlo significa fingere nel modo più impudente. Accanto alla spiegazione biologica della guerra, ha continuato a ricevere consensi la spiegazione economica che interpreta i conflitti come esigenze drastiche del mercato (2). Se un paese non è nostro cliente bisogna invaderlo e costringerlo con la forza. Ci auguriamo che questa logica non passi dalla macroeconomia alla microeconomia.
Queste spiegazioni, sotto alcuni aspetti falsamente raziocinanti, rivelano una serie di incoerenze che tentano di nascondere la responsabilità umana della guerra. Inoltre si tralasciano i cinici vantaggi (non soltanto economici) del conflitto. Perciò è utile segnare alcuni punti:

1) La guerra è un atto volontario;
2) La guerra è facile da avviare;
3) La responsabilità della guerra può essere attribuita agli altri (il nemico);
4) La guerra crea coesione interna (coesione sociale);
5) La guerra sospende molte regole da rispettare (non rubare, non uccidere, non stuprare, eccetera).

Insomma, perché bisogna fingere che non esistano questi motivi ben utili all’esercizio della guerra? Il sotterfugio è rivelato ai punti 1 e 2. La guerra non è inevitabile, piuttosto è un atto volontario estremamente facile da avviare. I punti 3 e 5 sono comodi per nascondere nella formalità gli squilibri della psiche umana che ancora non tollera le regole della convivenza civile perché costituite su basi ipocrite e artificiali. La guerra è la più grande occasione di sfogo a qualsiasi pulsione aggressiva, ma è anche uno strumento politico. Ed è questo miscuglio di burocrazia e organizzazione con tensione ed eccitazione a costituire la natura autentica della guerra. In conclusione, la guerra è la forma burocratica e politica (3) di un conflitto e un’incoerenza interiore dell’umanità. Il buddhismo propone perciò come soluzione un miglioramento spirituale da applicare all’individuo. Bisogna intervenire sulla persona per ottenere un concreto e durevole cambiamento sociale.
L’insieme di dottrine eterogenee a sostegno di questa tesi è ciò che noi chiamiamo "la filosofia giapponese della pace". Non è paradossale, anzi ne è l’origine, che questa filosofia nasca nel paese che ha vissuto la circostanza storica della costituzione della nobile casta di guerrieri (bushi) feroci e determinati, e peggiore, il meschino militarismo del Novecento. Chi ha conosciuto le aberrazioni della guerra desidera ardentemente che esse rimangano un ricordo del passato. Purtroppo al momento attuale non è così.
Sicuramente è stato un errore non capire la necessità dell’educazione alla pace. L’insegnamento ha peccato enormemente nel ritenere trascurabile ciò che sembrava già acquisito. E qui ritorna il punto su cui insiste il buddhismo, e particolarmente la Soka Gakkai. La pace deve essere un valore da trasmettere e inserire nella formazione dell’individuo. Così si esprime Ikeda Daisaku che ricorda l’insegnamento di Toda Josei.

"Toda osservò: I sistemi di governo e le istituzioni sociali non furono create per competere e lottare tra loro. Furono concepite e adottate per accrescere il benessere dell’umanità. […] Quando la filosofia e la religione cadono nell’errore e nel disordine, significa che la saggezza del popolo si è appannata. Secondo il principio della vera entità di tutti i fenomeni e dell’unità della vita e del suo ambiente, ciò determina caos e disarmonia nella vita creando disordine e contrasti nell’ambiente, ovvero nella società e nella nazione." (4)

Ikeda Daisaku insiste poi sulla necessità di fondare una nuova filosofia, una filosofia universale della pace.

"Abbiamo assistito alla caduta del comunismo in un’epoca già caratterizzata da una dilagante assenza di filosofia. Vediamo che ovunque […] dai paesi del terzo mondo in lotta contro la povertà alle nazioni industrializzate con tutti i loro problemi, in breve in tutto il mondo contemporaneo che colloca il rendimento economico al di sopra di tutto, il genere umano sente la necessità di una filosofia nuova ed efficace. La gente avverte un vuoto spirituale ed è alla ricerca di qualcosa che lo colmi, qualcosa che possa ridare energia e speranza a un’esistenza sempre più fragile e mortificata. "(5)

La filosofia giapponese della pace fonda i suoi princìpi sull’insegnamento del buddhismo. Toda Josei aveva indicato l’esigenza che il buddhismo non fosse limitato al campo dottrinale della religione, ma venisse applicato concretamente estendendo la sua influenza nella sfera sociale. Poiché il buddhismo professa un cambiamento universale partendo dal cambiamento del singolo individuo, è tramite l’educazione che si può pervenire al più alto dei risultati. Ed è ciò che questi autori chiamano "rivoluzione umana" (ningen kakumei).

"Una grande rivoluzione nel carattere di un solo uomo permetterà di realizzare un cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità." (6)

Questa filosofia unisce la prassi e la teoria essendo qualcosa che si pone al di sopra della speculazione dottrinale.

"La filosofia della vita descritta da Toda non è frutto di una speculazione teoretica, né frutto di ripetute analisi e sintesi razionali e scientifiche. Allo stesso tempo non è in contraddizione con la scienza e la ragione. Egli la estrasse dalle profondità del Sutra del Loto impegnando ogni energia nell’accanita ricerca della verità. La filosofia di Toda rappresenta la saggezza del Sutra del Loto: non ci informa soltanto sulla natura della vita, ma ha il potere di cambiare il nostro modo di pensare, di indurre nella nostra quotidianità un senso di speranza, di disporci all’azione. E’ una filosofia pragmatica che fa scaturire la nostra forza vitale." (7)

Quando si introduce il termine "vita" in una discussione filosofica, si rischia sempre che esso venga frainteso. I filosofi giapponesi intendono la vita come qualcosa che non possa essere riassunto da un’elaborazione intellettuale, qualcosa che non è riducibile a un concetto. La vita è irriducibile, essa non è riducibile a qualsiasi altro concetto. E come fenomeno non è riducibile a nessuna entità trascendentale o spirituale. L’impossibilità di ricondurre la vita e la natura a uno scopo era stata evidenziata da Immauel Kant nella Critica del giudizio.

"Della finalità esterna delle cose della natura abbiamo detto avanti che essa non basta ad autorizzarci a considerare queste cose come fini della natura per spiegare la loro esistenza, e ad usare i loro effetti, accidentalmente finali rispetto all’idea, come fondamenti della loro esistenza secondo il principio delle cause finali." (8)

Il carattere essenzialmente libero e non finalistico della vita è dunque riconosciuto anche da parte della filosofia occidentale. Ma l’umanesimo professato dalla filosofia giapponese, in cosa si differenzia dall’umanesimo europeo? Saito Katsuji sembra fornirci una risposta netta e precisa.

"Il termine "umanesimo cosmico" sottolinea la differenza rispetto alla visione antropocentrica finora dominante, secondo cui tutte le altre forme di vita diverse dalla nostra possono essere sacrificate in nome degli esseri umani." (9)

Insomma, un umanesimo profondamente diverso dall’umanesimo europeo. Questa diversità sembra superare quelle difficoltà politiche e ideologiche che alcuni autori vicini ai movimenti no-global hanno messo in luce. Ci riferiamo in particolare a Michael Hardt e Antonio Negri che hanno cercato di riscrivere la storia mondiale criticando il concetto di modernità (10). L’umanesimo giapponese è un umanesimo privo di ideologia e molto pragmatico. Esso assomiglia all’approccio che lo scrittore Alessandro Baricco ha mostrato occupandosi dei problemi della globalizzazione.

"Le cose sono più complicate di quanto sembrino. La rassicurante prospettiva di uno scontro frontale, buoni contro cattivi, è un’astrazione teorica, non c’entra col mondo reale, e serve solo a motivare i soldatini di un esercito obsoleto. […] Sto cercando di suggerire che sono problemi veri di cui però sappiamo ancora poco, perché abbiamo studiato molto le scarpe e i film ma non abbiamo studiato a sufficienza noi stessi: conosciamo tutti i segreti delle multinazionali, ma non abbiamo un’idea chiara dell’uomo che sta di fronte a loro." (11)

Ecco che cos’è l’umanesimo del XXI secolo: la riscoperta di un soggetto della storia che tendiamo a dimenticare. Ma l’umanesimo giapponese (o umanesimo cosmico) è anche un superamento del dualismo uomo/natura poiché viene recepito l’insegnamento della filosofia orientale.
La filosofia giapponese del Novecento ha contribuito notevolmente alla considerazione della pace come meta prioritaria da raggiungere. Mentre i politici sceglievano lo strumento delle armi per imporre con la forza un equilibrio e una pace unilaterale, molti studiosi si interrogavano sulle possibilità che la filosofia poteva offrire alla prospettiva pacifista. Tanabe Hajime raggiunse i risultati più ragguardevoli. Egli teorizzò una "filosofia che non è filosofia" (tetsugaku naranu tetsugaku). Tanabe intendeva riconoscere i limiti della ragione ponendo l’esistenza umana al di sopra della speculazione e del calcolo che è capace di giustificare ogni crimine. Dunque prospetta una autonegazione della filosofia ricorrendo al principio buddhista del nulla (mu). Questa negazione della filosofia non è una negazione in senso distruttivo, ma una rinascita (12). Così Tanabe Hajime si rifà all’insegnamento del maestro buddhista Shinran (1173-1262) e alla nozione di tariki (il potere salvifico di Buddha attraverso gli sforzi comuni dell’umanità).
In conclusione, la filosofia giapponese è un’autocritica alla filosofia medesima e un’apertura alla diversità. La novità della filosofia giapponese consiste appunto in questa attenzione nei confronti della pace (attenzione altrove mancata).


Note

1. Queste interpretazioni sono state sostenute soprattutto in base alle considerazioni delle opere di Konrad Lorenz. Cfr. Lorenz, Konrad, Il cosiddetto male, Il Saggiatore, Milano, 1969. Durissima la critica di Schmidbauer che accusa di "aspetti ideologici occulti" le spiegazioni biologiche dei fenomeni sociali. Cfr. Schmidbauer, Wolfgang,Uomo e natura. Anti-Lorenz, Laterza, Roma-Bari, 1978. Anche Fromm condanna gli eccessi di questi etologi in un classico sull’argomento: Cfr. Fromm, Erich, Anatomia della distruttività umana, Arnoldo Mondadori, Milano, 1975.
2. Karl Marx è stato il sostenitore più convincente e attendibile di queste spiegazione. Il periodo di espansione coloniale in cui viveva Marx aveva sicuramente una corrispondenza con quanto affermato. Ma il modello marxiano è strettamente storico (come sostenuto dal medesimo autore) e non può essere considerato universalmente. Cfr. Marx, Karl, Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma, 1950; Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1957; Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1974.
3. L’idea diffusa che la guerra accompagni la vita dell’uomo è falsa. Fra molti popoli primitivi la guerra è assente (questo è il caso degli eschimesi o inuit). La guerra progredisce e diviene pervasiva con l’espandersi della politica. Karl von Clausewitz affermò che la guerra "è una continuazione della politica con altri mezzi". L’esperto Clausewitz ha perfettamente ragione. La guerra è una forma della politica. Egli è decisamente chiaro su questo versante. "Affermiamo dunque che la guerra non rientra nel campo delle arti e delle scienze, ma in quello della vita sociale. […] Più che a qualunque arte è paragonabile al commercio che è anche un conflitto di interessi, ma più vicina ancora le sta la politica". Cfr. Clausewitz, Karl, Della guerra, Mondadori, Milano, 1970. Come lettura critica si possono consultare parecchi volumi di orientamento diverso: Jean, Carlo, Il pensiero strategico, Franco Angeli, Milano, 1985; Bouthoul, Gaston, Le guerre, Longanesi, Milano, 1951; Stamp, Gerd, Clausewitz nell’era atomica, Longanesi, Milano, 1966; Aron, Raymond, Penser la guerre, Clausewitz, Gallimard, Paris, 1976.
4. Cfr. Ikeda, Daisaku, La saggezza del Sutra del Loto, Vol.1, Esperia Edizioni, Milano, 1999, p.134.
5. Ibidem, p.1.
6. Ibidem, p.142.
7. Ibidem, p.21.
8. Cfr. Kant, Immanuel, Critica del giudizio, Laterza, Roma-Bari, 1997, p.437.
9. Cfr. Ikeda, Daisaku, La saggezza del Sutra del Loto, Vol.1, Esperia Edizioni, Milano, 1999, p.12.
10. Cfr. Hardt, Michael e Negri, Antonio, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano, 2002.
11. Cfr. Baricco, Alessandro, Next. Piccolo libro sulla globalizzazione e il mondo che verrà, Feltrinelli, Milano, 2002, p.59.
12. Cfr. Tanabe, Hajime, Zangedo toshite no tetsugaku, Iwanami, Tokyo, 1946.

Bibliografia

Arena, Leonardo Vittorio, Samurai. Ascesa e declino di una grande casta di guerrieri, Arnoldo Mondadori, Milano, 2002.
Kerr, Alex, Il Giappone e la gloria, Feltrinelli, Milano, 1999.
Ikeda, Daisaku, La rivoluzione umana, Esperia Edizioni, Milano, 1994.
Ikeda, Daisaku, La saggezza del Sutra del Loto, Esperia Edizioni, Milano, 1999.
Sakaiya, Taichi, Taihen na jidai, Kodansha, Tokyo, 1998.
Sansom, George Bailey, A History of Japan, Stanford University Press, Stanford, 1963.
Shibayama, Zenkei, Un fiore non parla. Saggi zen, Arnoldo Mondadori, Milano, 1999.
Tanabe, Hajime, Zangedo toshite no tetsugaku, Iwanami Shoten, Tokyo, 1946.