Mercoledì 20 giugno 2007, alle ore 21.00, Cristiano Martorella è stato intervistato da Andrea Materia e Mario Bellina, conduttori del programma Versione Beta, in onda su Rai Radio 2. L'argomento era il fenomeno culturale delle Gothic Lolita. Numerosi gli ospiti che hanno fornito un quadro interessante della creatività femminile. Durante la trasmissione si è citato e discusso l'articolo pubblicato dal sito Nipponico.com sul tema delle Gothic Lolita, riproposto qui di seguito.
Gothic Lolita
Le adolescenti fanno paura
di Cristiano Martorella
22 gennaio 2005. Con il termine Gothic Lolita, in giapponese Goshikku Roriita, si indica una tipologia di ragazze giapponesi alla moda che fanno tendenza con un abbigliamento neoromantico e un po’ kitsch. L’espressione è stata coniata usando vocaboli stranieri già esistenti, Gothic e Lolita (1), e uniti insieme per assumere un valore nuovo e indicare qualcosa in particolare appartenente alla cultura giovanile giapponese. Infatti le mode della gioventù giapponese sono tante ed è un divertimento crearne sempre nuove. Così è bello ciò che è vario. Esistono già diverse tipologie di ragazze giapponesi in cui si inseriscono le Gothic Lolita (Goshikku Roriita). Ci sono le kogal (kogyaru), termine generico con cui si indicano le ragazze con atteggiamento puerile e volutamente lezioso che trascorrono le giornate dedicandole al divertimento e allo shopping. Poi ci sono le trasgressive ganguro che esibiscono un’abbronzatura scurissima e un trucco contrastante chiaro e pesante. Mentre le ganjiro, anche dette shirogyaru, si mettono in mostra con una pelle chiarissima e un aspetto innocente che è più un vezzo piuttosto che un comportamento spontaneo. Tanto che fu in voga anche l’espressione burikko per indicare una ragazza che finge ingenuità. Viceversa le bodicon (abbreviazione e contrazione di body conscious) vestono in modo estremamente sexy e provocante. Le Gothic Lolita riprendono certi stilemi delle loro coetanee e ne amplificano alcuni aspetti. Sicuramente il contributo della cultura otaku è qui altissimo. Il riferimento ai personaggi dei manga e degli anime è esplicito. Un’autrice di manga che ha contribuito moltissimo a sostenere questa moda, tramite i personaggi da lei disegnati, è Yazawa Ai. L’abbigliamento originale di molte protagoniste dei suoi manga sono un buon modello per le Gothic Lolita. Nemmeno può essere dimenticato il gruppo delle Clamp, autrici di fumetti per ragazze (shojo manga) che tengono in grande considerazione l’abbigliamento e la moda. Inoltre non va dimenticata la produzione di manga hentai e di videogiochi bishojo dove la figura della Lolita è onnipresente divenendo un’icona e un modello culturale. Basta ricordare il successo dei fumetti di U-Jin e Utatane Hiroyuki, e in tempi più recenti, il lavoro di Carnelian, autrice dell’anime e del bishojo game intitolato Yami to boshi to hon no tabibito. Questo è il contributo fornito dalla cultura otaku che possiamo riscontrare. Quali sono però le vere intenzioni delle Gothic Lolita nascoste dietro il vestito e la maschera così costruita? In effetti la questione è complessa. Le Gothic Lolita non sono e non aspirano a divenire un gruppo rivoluzionario. La saggistica occidentale ha enfatizzato in modo eccessivo le mode e le tendenze della gioventù giapponese. Spesso, leggendo questi saggi, si ha l’impressione che la gioventù sia in lotta contro la cultura tradizionale giapponese. Vestirsi in una maniera vistosa e trasgressiva non significa necessariamente opporsi alla società e ai modelli culturali dominanti (2). Per fortuna giornalisti intelligenti come Leonardo Martinelli hanno messo in evidenza l’inconsistenza della contestazione dei giovani ribelli giapponesi (3). Ribelli solo nell’abbigliamento. Le Gothic Lolita non vogliono la rivoluzione, semplicemente vogliono divertirsi. Viceversa la cultura giovanile giapponese, anche negli aspetti commerciali della cultura pop, è tuttavia entrata involontariamente in collisione con le trasformazioni sociali del XXI secolo, alimentando uno scontro che in effetti non era cercato. In realtà la gioventù subisce un’aggressione di una tale intensità che ogni compromesso appare irrealizzabile. Il mondo e la cultura otaku sono diventati un movimento eversivo, oppure appaiono così, a causa della fortissima repressione operata sui giovani dalle istituzioni e dal mercato del lavoro imposto a discapito dei diritti civili. Paradossalmente le democrazie attuali tutelano il libero mercato ma non difendono la libertà dei cittadini eliminando le regole che proteggono i lavoratori (questo processo è generalmente chiamato deregulation). Come nel resto del mondo, anche in Giappone la situazione del mercato del lavoro è gravissima. La situazione è peggiorata anche a causa dell’occultamento della realtà operato dai mass media e dalle istituzioni che preferiscono incolpare fumetti e videogiochi del disagio sociale esistente. Si è addirittura inventata la sindrome dell’hikikomori (segregato), amplificando i vecchi studi sulle devianze degli otaku, per dare un’apparenza di scientificità alle vecchie opinioni sulla degenerazione della cultura giovanile. Si può dire però, senza difficoltà alcuna, che la questione hikikomori è stata semplicemente escogitata dai media e dalle istituzioni per indicare nei giovani le colpe da imputare agli adulti. Dalle ricerche che abbiamo condotto sul campo, pubblicate in libri e articoli, è emerso che il lavoro precario (freeter, in giapponese furita), introdotto anche in Giappone, è l’autentico responsabile dei disagi sociali che invece si imputano ad anime e manga, videogiochi e internet. La dimostrazione di quanto affermato è nell'inesistenza di studi sulla fruizione dei media in Giappone. Nessuno ha mai studiato la camera di un adolescente, nessuno ha mai condotto ricerche sulla vita degli adolescenti. Tutti invece hanno scritto che gli adolescenti si chiudevano in una stanza per dedicarsi ai loro hobby trascurando la vita sociale. Ebbene, tutte queste affermazioni si basano sul vuoto totale, una completa mancanza di ricerche. Nessuno ha mai condotto ricerche sulla fruizione dei media in Giappone, tutti invece hanno scritto e condannato un mondo paranoico che esisteva soltanto nelle loro teste. Ancora in molti credono che da qualche parte esistano dei libri che descrivono e studiano la fruizione dei media e la vita dei giovani giapponesi. Ricerche approfondite non esistono, non sono mai state condotte perché quello che interessava era inventarsi delle giustificazioni per il degrado sociale in cui sono state gettate le nuove generazioni private dell'assistenza e dei benefici di cui godevano le vecchie generazioni. Sulla psicopatia dei media, definita come sindrome di hikikomori (segregato), la rivista "Psicologia contemporanea" ha dedicato un’inchiesta (4). L’articolo è imbarazzante e approssimativo. Ci si è limitati a ripetere opinioni e luoghi comuni raccolti in internet, e a citare un film. Ma i personaggi dei film non sono persone reali. Invece di condurre ricerche sul campo e osservazioni su persone reali ci si è soffermati a un film, alla fiction che è per definizione una finzione. Ritorniamo però alla definizione di hikikomori. L’hikikomori sarebbe una persona che si chiude in camera per dedicarsi ai videogiochi e alla navigazione in internet troncando le relazioni sociali con gli altri. Questa definizione è già sbagliata e contraddittoria. Infatti i mezzi di comunicazione usati dagli hikikomori aumentano le possibilità di comunicazione invece di diminuirle. Inoltre non si forniscono spiegazioni plausibili sulle cause delle interruzioni di certe relazioni interpersonali. Il sospetto è che i media non siano una causa della patologia, piuttosto un mezzo su cui si concentrano le accuse per distrarre dai veri problemi. Ancora più paradossale è il fatto che i media incolpano se stessi per un fenomeno complesso e incomprensibile, come se soffrissero di una sindrome di onnipotenza. Forse è questa l’autentica psicopatologia: credere che la realtà sia soltanto quella sotto l’obiettivo della telecamera. In questo caso la malattia assume aspetti molto più estesi e articolati. Non si tratta di un fenomeno ristretto ai giovani giapponesi. Anche le Gothic Lolita possono sembrare strane, con il loro atteggiamento inquietante che esibisce ingenuità e disinibizione sessuale, non smettono di suscitare perplessità. Così l’idea sbagliata che considera una generazione di giovani come sbandati e asociali ritorna prepotentemente. Intanto lo stile delle Gothic Lolita fa proseliti. La cantante Gwen Stefani con il videoclip "What you waiting for?" furoreggiava alla fine del 2004. Nel videoclip c’erano ragazze giapponesi in stile tipicamente Gothic Lolita, e la parodia di Alice nel paese delle meraviglie era un forte riferimento alla cultura kawaii. Nel frattempo accade anche qualcosa di inaspettato. Le ragazze giapponesi sono cresciute e hanno incominciato a esprimere le loro opinioni denunciando le storture della società degli adulti. La situazione è ribaltata, così sono gli adulti messi sotto accusa. In questo senso, due casi clamorosi sono stati i libri di Kanehara Hitomi e Iijima Ai. Kanehara Hitomi ha vinto il Premio Akutagawa con il libro Hebi ni piasu (Piercing al serpente) che ha ottenuto un grande successo fra il lettori (5). Kanehara Hitomi ha scandalizzato quanto incantato per l’audacia dei temi trattati, rivedendo i concetti di corpo, personalità e relazione umana. Ella, come tanti giovani giapponesi, è insofferente nei confronti dei soliti cliché che costringono la vita in uno stampino predefinito. I giovani stanno cercando di stabilire rapporti umani più profondi, anche a costo di essere estremi e anticonformisti, e sono pure disposti a rischiare, magari fallire. In fondo nella cultura giapponese, come ci ricorda Ivan Morris (6), la vera sconfitta non è la perdita sul campo di battaglia ma la rinuncia a combattere. Questa è un’autentica affermazione di valori, nuovi valori. Non è nemmeno detto che siano in opposizione ai valori tradizionali giapponesi, come abbiamo appena visto. Siamo ben lontani dal vuoto di valori paventato dagli psicologi frettolosi. Iijima Ai, celebre conduttrice televisiva, ha scandalizzato con la sua autobiografia intitolata Platonic Sex (7). Ella individua le questioni cruciali e scottanti dei rapporti fra giovani e adulti, denunciando i soprusi e tutte le forme di sfruttamento a cui sono sottoposte le nuove generazioni. In nome dell’educazione si subisce ogni tipo di sopruso, si patiscono le violenze di continui e assurdi divieti. Così si finisce per trasgredire cercando di affermare la propria esistenza al di sopra delle proibizioni che non considerano la complessità dell’esistenza umana. Ciò che sorprende è la forza morale sprigionata da Iijima Ai con tanta semplicità e ingenuità. Mai vittimismo nonostante l’evidenza delle ingiustizie. Soltanto coraggio e voglia di affrontare la vita. Ecco perché Platonic Sex è un best-seller adorato da milioni di adolescenti, e resta purtroppo ancora incompreso dagli adulti.
Questi sono soltanto due esempi di un mondo che sta emergendo. Le ragazze giapponesi hanno sempre più voglia di far sentire le proprie idee e si esprimono attraverso tutti i mezzi della società contemporanea: la moda, la televisione, la stampa, i fumetti, internet e i videogiochi.
Un aspetto delle vicende della gioventù giapponese che colpisce lo studioso più di ogni cosa, è lo stato disastroso e lacunoso della ricerca scientifica. La sociologia è una scienza che dovrebbe comprendere l’agire umano nelle sue motivazioni (8). Invece assistiamo a manifestazioni palesi di dilettantismo e superficialità. Si usano ancora le categorie obsolete della devianza giovanile per spiegare fenomeni molto più complessi e articolati. Il rischio è che l’incomprensione si possa poi tramutare in scontro. Allora controllare le trasgressive Gothic Lolita non sarebbe affatto semplice.
Note
1. Lolita è il celebre personaggio dell’omonimo romanzo scandaloso e pruriginoso di Vladimir Nabokov, trasposto in film nel 1962 dal regista Stanley Kubrick. Il romanzo Lolita del 1955 è stato riportato al successo da un’iniziativa del quotidiano "La Repubblica" che lo accludeva al giornale nell’ultima settimana del mese di maggio 2002. Lolita è il ventesimo volume della collana "La biblioteca di Repubblica".
2. Abbiamo duramente contestato le tesi contenute nel volume La bambola e il robottone, senza però ottenere risposte plausibili, al contrario ricevendo soltanto accuse inconsistenti e non attinenti alle nostre critiche. Comunque, chiunque può leggere il libro e constatare quante esagerazioni contiene. Cfr. Gomarasca, Alessandro (a cura di), La bambola e il robottone. Culture pop nel Giappone contemporaneo, Einaudi, Torino, 2001. Infine, bisogna ricordare che una solenne stroncatura de La bambola e il robottone è stata pubblicata dalla rivista "LG Argomenti". Si evidenziava così che lo studio della società di massa non può avvenire separatamente dallo studio della società in tutti i suoi aspetti istituzionali, economici e relazionali. Cfr. Martorella, Cristiano, Scaffale/Saggi, in "LG Argomenti", n.2, anno XXXVIII, aprile-giugno 2002, pp.70-71.
3. Cfr. Martinelli, Leonardo, Harajuku: questa pazza, pazza Tokyo…, in "Gulliver", n.3, anno IX, marzo 2001, pp.50-78.
4. Cfr. Di Maria, Franco e Formica, Ivan, Hikikomori. Il male oscuro dei figli del Sol Levante, in "Psicologia contemporanea", n.179, anno XXX, settembre-ottobre 2003, pp.18-25.
5. Cfr. Kanehara, Hitomi, Hebi ni piasu, Shueisha, Tokyo, 2004. La traduzione inglese del titolo è un po’ differente essendo Snakes and Earrings (Serpenti e orecchini).
6. Cfr. Morris, Ivan, La nobiltà della sconfitta, Guanda, Milano, 1975.
7. Cfr. Iijima, Ai, Puratonikku sekkusu, Shogakukan, Tokyo, 2001 (traduzione italiana a cura di Gianluca Coci, Platonic Sex, Rizzoli, Milano, 2004). Il libro è stato accolto tiepidamente dalla critica italiana. Unica eccezione è stata la rivista "LG Argomenti" con un’entusiastica recensione. Cfr. Martorella, Cristiano, Segnalazioni, in "LG Argomenti", n.2, anno XL, aprile-giugno 2004, p.82.
8. Questa definizione è del padre della sociologia moderna, il tedesco Max Weber. Cfr. Weber, Max, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 1958.
Bibliografia
Di Maria, Franco e Formica, Ivan, Hikikomori, Il male oscuro dei figli del Sol Levante, in "Psicologia contemporanea", n.179, anno XXX, settembre-ottobre 2003.
Martinelli, Leonardo, Harajuku: questa pazza, pazza Tokyo…, in "Gulliver", n.3, anno IX, marzo 2001.
Martorella, Cristiano, Il kawaii prima del kawaii, in Pellitteri, Marco (a cura di), Anatomia di Pokémon. Cultura di massa ed estetica dell'effimero fra pedagogia e globalizzazione, Seam, Roma, 2002.
Martorella, Cristiano, Wakamono. I paradossi della cultura giovanile giapponese, in "LG Argomenti", n.1, anno XXXIX, gennaio-marzo 2003.
Martorella, Cristiano, Dokusho. La lettura fra scienza e tecnologia, in "LG Argomenti", n.1 anno XL, gennaio-marzo 2004.
Martorella, Cristiano, Yokuatsu. Repressione e giovani, in "LG Argomenti", n.2 anno XL, aprile-giugno 2004.
Martorella, Cristiano, La rivoluzione invisibile, in "Sushi", n. 3, anno II, ottobre 1996.
Martorella, Cristiano, Giappone inquieto, in "Sushi", nuova serie, anno III, settembre 1997.
Martorella, Cristiano, I fumetti del ciliegio in fiore, in "Il Golfo. Quotidiano dell’area sorrentina e Capri", anno VI, 1 marzo 1996.
Morikawa, Kaichiro, Learning from Akihabara. The Birth of a Personapolis, Gentosha, Tokyo, 2003.