Articolo sulla repressione giovanile pubblicato dalla rivista "LG Argomenti".
Cfr. Cristiano Martorella, Yokuatsu. Repressione e giovani, in "LG Argomenti", n.2, anno XL, aprile-giugno 2004, pp.71-75.
Yokuatsu. Repressione e giovani
di Cristiano Martorella
La rivista "LG Argomenti" ha fornito, dal 2000 ad oggi, un quadro ormai completo sulla letteratura per l’infanzia, la fiaba, la pedagogia e la cultura giovanile del Giappone, un paese che non finisce mai di stupire per l’originalità e la ricchezza della propria civiltà. Adesso possiamo dedicarci a sviluppare studi più approfonditi che abbiano anche un aspetto sperimentale ed esplorativo, non soltanto informativo e accademico. La ricerca, come ci insegna Max Weber, non è soltanto un’accumulazione di dati, piuttosto è la capacità di elaborare costrutti intellettuali capaci di orientarci nella complessità empirica. Abbiamo già visto come le questioni inerenti alla società giapponese ci riguardino direttamente. Il metodo comparativo permette non soltanto di cogliere le similitudini e le differenze, ma di concepire i processi dello sviluppo in modo specifico, senza ricorrere a un modello evolutivo astratto considerato unico e valido per tutte le situazioni. Per questo motivo l’indagine che qui presenteremo sarà inusuale, anticonformista e inedita per i consueti canoni della critica letteraria italiana.
Una ricostruzione storica è un preliminare necessario per inquadrare la questione delicata del fenomeno otaku, prima di passare ai giudizi e alle conseguenze. Il fenomeno otaku, apparso in Giappone intorno agli anni ’80, fu inizialmente usato per marchiare negativamente una vasta fascia della gioventù che non voleva farsi inquadrare nel sistema rigido della società meritocratica (gakureki shakai). Con otaku si indicava una tipologia di giovane incapace di comunicare con gli altri, completamente assorbito in una passione o un hobby fino alla fissazione, e rinchiuso in se stesso tanto da identificarsi con l’ambiente della sua camera. Qui il gioco di parole fra otaku, che significa casa, ma usato anche come la seconda persona singolare del pronome personale in forma cortese, è evidente. Otaku è colui che si ripiega sull’ambiente domestico e bada soltanto a se stesso. La mentalità giapponese fortemente intrisa di una morale confuciana non ancora sparita, non riesce ad accettare un simile atteggiamento introverso, e soprattutto asociale. Il fine ultimo dell’individuo deve essere il bene della collettività secondo i princìpi confuciani. Evidentemente i princìpi astratti della morale confuciana si rivelano molto più artificiali e innaturali di quanto un’analisi superficiale possa pensare. Infatti il confucianesimo è soltanto un innesto nella società giapponese che fonda la sua struttura su basi pagane (shintoismo). Autori come Norinaga Motoori hanno espresso un forte dissenso e disprezzo nei confronti del pensiero cinese. Ciò non va dimenticato. Questa reminiscenza è anche importante per evidenziare come l’atteggiamento degli otaku, che recuperano la cultura autoctona, è pienamente coerente e consequenziale.
L’idea e l’immagine negativa degli otaku non è mai sparita, nemmeno quando il fenomeno è diventato una moda, con aspetti fortemente commerciali, e si è espanso all’estero. Gli appassionati di animazione e fumetti presero con slancio e orgoglio quella definizione, facendone una bandiera. Dopotutto i media sono abilissimi a creare mostri, e quest’ultimi sanno ormai come utilizzare la cassa di risonanza provocata dai clamori e dagli scandali. Appunto gli scandali che non sono mai mancati. Gli otaku infatti furono accusati di consumare fumetti e cartoni animati dai contenuti sessuali più perversi. Così il caso di Tsutomu Miyazaki, maniaco sessuale pluriomicida, fu assunto come esempio rappresentativo della minaccia otaku. Invece di porgere attenzione ai contenuti dei prodotti dell’editoria, si cercava il solito capro espiatorio e si fingeva di non vedere il sistema commerciale nato intorno ai presunti maniaci. La questione della sessualità dei giovani era divenuta talmente controversa che vi fu un autentico movimento per depistare e confondere i cittadini. Schiere di psicologi inventarono nuove patologie, e i sociologi nuove devianze. Era così riportato il tutto all’ordine, bastava dividere i giovani in sani e malati. Almeno così si credeva.
Il fenomeno della repressione contro i giovani assumeva aspetti inquietanti in un paese che godeva di un’ampia libertà sessuale e i diritti civili erano anch’essi garantiti. Eppure basta poco per sopprimere le libertà individuali. La stampa indicò nei giovani la causa della crisi economica, della crisi dei valori, e perfino la crisi demografica. Indolenti, viziati, dediti al sesso sfrenato, ecco il quadro dipinto dai giornali. Nessun intellettuale spese una parola in favore dei giovani, nessun politico vide una briciola di bontà nelle future generazioni. Solo la stampa alternativa, riviste specializzate e fumetti, difendevano i giovani. Praticamente erano le riviste scritte dagli stessi otaku. Meglio così. Ci si difendeva da soli, un’altra dimostrazione di autonomia. Ma facciamo un passo indietro. Cosa c’era sotto tanta ostilità, cosa provocava la paura degli otaku? Gli otaku erano un pericolo per l’assetto della società e per l’élite politico-economica. Essi sapevano usare straordinariamente bene le nuove tecnologie (computer, internet, telefonia mobile, immagini digitali, etc.), avevano così un’autonomia produttiva (riviste, gadget, video, etc.) erano radicati nella cultura autoctona (ripresa delle credenze shintoiste), avevano un estremismo estetico che scavalcava i limiti nazionali (l’immagine comunica più rapidamente della parola), e soprattutto rifiutavano la politica. Gli studiosi li definirono come un movimento non ideologico di contestazione. Anche qui l’analisi era superficiale e fuorviante, basata sui modelli del ’68. Gli otaku non erano interessati alla contestazione, essi rifiutavano in assoluto il modello politico della dialettica occidentale. "Basta con le chiacchiere, se qualcosa non la senti col cuore come puoi capirla con le parole?" Ecco un motto che spiega il diverso sentire degli otaku. Sarebbe stato più interessante accostare il movimento otaku all’esistenzialismo per coglierne qualche tratto più saliente. Però a nessuno studioso interessava davvero capire gli otaku. Era importante condannare e fornire il supporto ideologico per giustificare la reclusione di tanti giovani nei riformatori e nelle cliniche psichiatriche.
I punti di attrito col sistema democratico erano troppo forti. I giovani rifiutavano il sistema politico rappresentativo perché costituiva un inganno. Come può essere rappresentativo un sistema politico che seleziona i candidati in base al loro potere economico? I candidati sulla scheda elettorale non li scelgono gli elettori, ma gli apparati dei partiti. Dov’è la scelta dell’elettore? D’altronde l’opinione pubblica viene tranquillamente ignorata. Le guerre si fanno senza il consenso dei cittadini, e così procede anche la distruzione dell’ambiente tramite politiche economiche sempre più aggressive. Forse qualche politico tiene in considerazione la volontà degli elettori? Gli otaku rifiutavano la partecipazione a una società civile fondata sull’ipocrisia e la menzogna che si fa chiamare democratica per avere soltanto un maggiore consenso. Così erano chiare le due condanne della società civile contro il movimento otaku: 1) Il ritiro dalla società civile e la moratoria (sospensione dalla responsabilità della vita adulta); 2) L’abbandono delle ideologie (liberalismo, socialismo, comunismo, nazionalismo, etc.) e rifiuto del sistema politico. Ma chi condanna è spesso più colpevole di chi è puntato dal dito. Infatti tutte le accuse contro gli otaku non intaccarono minimamente lo sfruttamento commerciale del fenomeno. Per le aziende qualcosa è buono se si vende. Quindi le condanne moraliste contro la prostituzione delle liceali (burusera) furono soltanto un lungo spot promozionale di vendita dei prodotti più glamour. Infatti erano i giovani i consumatori più accaniti di certi prodotti. Molti prodotti estetici erano rivolti alle ragazze, perfino i centri estetici d’abbronzatura riguardavano un gruppo di giovanissime (yamanba e kogyaru). La florida industria del divertimento poteva sussistere soltanto grazie al lavoro e ai consumi dei giovani. C’era un gioco perverso fra chi condannava, con una falsa morale, la vita consumistica dei giovani, e gli stessi che gestivano e lucravano sul mercato.
Un esempio letterario di questa tendenza è stato rappresentato dalla scrittrice Banana Yoshimoto. Le sue opere descrivono personaggi sospesi in una vita quotidiana dove lo shopping, la cucina, un hobby, costituiscono il senso della loro vita. Una caratteristica molto simile alla tipologia dell’otaku. In una atmosfera ovattata, dove non c’è cognizione di bene e male, giusto e sbagliato, i personaggi si rivelano soltanto in base alla loro capacità di decifrare e dare senso al flusso di percezioni. Aspetti legati alla sessualità scivolano senza l’emozione di una passione. Nei romanzi di Banana Yoshimoto si accenna alla prostituzione, all’incesto fra fratello e sorella, e altre relazioni sessuali illecite, in modo poco coinvolgente e con indifferenza. Sembra che la sessualità sia concepita come un bene di consumo piuttosto che una passione. La scrittrice Reiko Matsuura utilizza il sesso per creare un effetto di straniamento attraverso l’inusuale. Il corpo diventa una bandiera e una forma d’espressione fino al limite. Nel romanzo Oyayubi P no shugyo jidai (L’apprendistato dell’alluce P) narra le vicende erotico-comiche della ventiduenne Kazumi che scopre la trasformazione del suo alluce destro in un pene. La scrittrice Miri Yu narra le vicende di adolescenti allo sbando come in Oro rapace. Una critica feroce ai media e al loro potere di manipolazione è portata avanti in Scene di famiglia. La star televisiva Ai Iijima, diventata scrittrice di successo con la sua autobiografia, cerca di rendere manifesto come si possa trovare un percorso personale che dia senso alla vita degli adolescenti oppressi in un mondo di adulti cinici e bugiardi. In Platonic Sex riesce perfino a dimostrare la purezza dell’animo che rimane inattaccabile nonostante lo sfruttamento sessuale.
La tendenza della letteratura giovanile giapponese sembra essere rivolta ad una denuncia sociale che usa la sessualità come forma di protesta o almeno come dichiarazione d’autonomia. Ciò corrisponde alla tradizione inaugurata nell’epoca Edo (1600-1867) dagli intellettuali vicini alla chonin bunka (cultura dei mercanti). Fu in quel periodo che il governo shogunale adottò un massiccio impiego della polizia per reprimere i testi, le opere teatrali, i libri di stampe troppo critici, adottando il pretesto della moralità. Oggi questa trasformazione viene condotta dai giovani con le modalità che abbiamo visto in precedenza. Non si tratta né di una rivolta né di una rivoluzione, ma di uno strappo forte con gli stili di vita imposti dal regime democratico. Forse ciò è più duraturo e significativo nei cambiamenti. I punti di attrito con il sistema democratico sono soprattutto: 1) La politica sessuale repressiva nei confronti dei giovani; 2) La mancanza di stabilità sociale intaccata dalla disintegrazione del lavoro stabile e dell’assistenza sociale. L’emergenza del disordine sociale creato dalla politica economica diretta esclusivamente a garantire i profitti delle aziende, porterà inevitabilmente ad acuire la repressione nei confronti dei giovani. Arrivati al punto di rottura il sistema democratico a sostegno della dittatura dell’azienda si sfalderà. Un’importanza enorme avrà la letteratura in tutte le sue forme narrative. Infatti l’unico fattore unificante degli otaku è la letteratura (riviste, fumetti, ipertesti, etc.) con la sua capacità di creare una sensibilità comune. Il Giappone sarà il laboratorio sociale del futuro. I passaggi cruciali saranno costituiti dalla critica al modello familiare troppo oppressivo, all’esaltazione dell’edonismo e all’affermazione della libertà sessuale. Parte di questa ricostruzione sociale avverrà con il recupero delle soluzioni tramandate dalla cultura tradizionale. Infatti la sessualità aveva un ruolo più equilibrato e fondativo nel mondo degli antichi, una concezione distrutta dal moralismo delle religioni monoteiste dove il sesso è il peccato per eccellenza. Lo stesso piacere della vita era esaltato dai pagani, viceversa attualmente l’edonismo è sfruttato a livello commerciale ma negato a chi non può comprarselo. Circa la sessualità dei giovani, essa è negata, occultata e ignorata. A livello scientifico ciò provoca un’acuta forma di schizofrenia fra i risultati oggettivi della ricerca e il moralismo bigotto. La letteratura ha il dovere di raccontare cosa sta accadendo nel nostro mondo. Le opere degli autori giapponesi stanno cogliendo questo risultato.
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Articolo pubblicato dalla rivista "LG Argomenti". Cfr. Cristiano Martorella, Yokuatsu. Repressione e giovani, in "LG Argomenti", n.2, anno XL, aprile-giugno 2004, pp.71-75.