sabato 17 ottobre 2009

Kogyaru

Articolo sulle kogyaru pubblicato dal sito Nipponico.com.

Kogyaru. Le ragazzine vivaci
Antropologia delle vispe ragazze delle metropoli giapponesi
di Cristiano Martorella

13 settembre 2003. Il termine kogyaru, spesso scritto anche kogal, è un neologismo giapponese nato negli anni ’90, ed è composto da un gairaigo (parola d’origine straniera), gyaru (forma giapponese dello slang americano gal, ragazza) e da un prefisso, ko (bambina). Kogyaru significa piccola ragazza, ragazzina, ed indica le giovani giapponesi fra i quindici e i vent’anni circa alla ricerca di un look particolare e un’esistenza spensierata tipica della loro età. L’etimologia del termine kogyaru è dunque semplice e non deve fornire l’occasione per assurde interpretazioni (1). Ko è un suffisso usato anche nei nomi femminili (per esempio Haruko, Keiko, etc.) ed ha una valenza di vezzeggiativo. D’altronde è noto come per l’estetica giapponese ciò che è piccolo diviene carino e grazioso. Il tentativo della sociologa Sharon Kinsella di interpretare le kogyaru come un fenomeno di contestazione prodotto dalla società consumistica è aberrante e privo di fondamento scientifico. Le kogyaru si pongono obiettivi ben diversi da quelli supposti da Kinsella. Innanzitutto divertirsi, poi divertirsi e ancora divertirsi. Il loro motto è: "Se lo trovi divertente non chiederti perché". Cosa c’è di strano se le ragazzine vogliono trascorrere delle giornate piacevoli?
Fra le attività preferite dalla kogyaru c’è ballare il parapara. Il parapara è una danza già in voga nel 2000 che si balla muovendo le braccia e le gambe in un modo un po’ figurato. Però lo scopo del parapara è soprattutto creare il riconoscimento nel gruppo, identificandovi attraverso l’imitazione dei movimenti del ballo. Dal punto di vista antropologico il gesto permette anche l’integrazione spazio-temporale attraverso la modulazione delle forme e del movimento. Secondo André Leroi-Gourhan l’estetica costituisce l’evoluzione umana insieme alla tecnica e al linguaggio. Questo trittico etnologico composto da tecnica, linguaggio ed estetica ha un carattere differente nell’ultima istanza. Infatti l’estetica non è determinata soltanto dalla società, ma l’individuo è coscientemente libero della scelta e può perfino creare. Le kogyaru rispecchiano quest’analisi etnologica. Esse non cercano esclusivamente l’omologazione, piuttosto ricercano la creazione di uno stile individuale. Perciò definire un abbigliamento tipico delle kogyaru sarebbe improprio. Certamente svolge un ruolo importante la divisa scolastica che ha centinaia di varianti, così quanti gli istituti scolastici. A ciò si aggiunge la facoltà di cambiare alcuni indumenti, come per esempio i calzini. In particolare, i calzini più in voga fra le kogyaru sono i ruuzu sokkusu (calzini larghi e pendenti, dall’inglese loose socks). Questi calzini larghi di colore bianco ricadono sulle scarpe coprendole parzialmente. La gonna, abitualmente una gonna corta blu scuro, si è evoluta in una minigonna a scacchi simile al tartan, di colore consono al resto della divisa. La foggia della divisa scolastica può essere alla marinara (seeraa fuku, dall’inglese sailor), ma anche un tailleur abbinato a una cravatta. Si tratta comunque di elaborazioni sulle divise dei college di tutto il mondo, a cui si aggiunge il gusto estetico delle kogyaru. Però l’abbigliamento delle kogyaru non è ristretto alla divisa scolastica, anche se questa è particolarmente amata perché simbolo dello status di studentessa e dunque icona della gioventù. Per un certo periodo sono stati di moda gli zatteroni, le zeppe alte e gli stivali, ma anche i pantaloni larghi a zampa d’elefante. Insomma, un ripescaggio del vestiario degli anni ’70. Tutto all’insegna del coloratissimo, dei colori pastello, del fluorescente, di qualcosa che sia sempre sgargiante ed evidente. Ciò con lo scopo di distinguersi assolutamente. Il motto delle kogyaru è: "Essere se stesse".
Per chi è esterno e poco confidente con questo mondo, le kogyaru possono apparire tutte uguali. Eppure i gruppi e le varie denominazioni sono estremamente differenti. Una attenta ricognizione rivelerà come realmente ogni kogyaru sia un’individualità con i propri gusti e tendenze. Perciò per quanto riguarda l’abbigliamento non si può fissare uno stile unico.
Il trucco usato adopera spesso fondotinta azzurri o bianchi che ingrandiscono gli occhi. Il rossetto è chiarissimo, rosa pallido oppure azzurro-violetto. Questo trucco a volte risalta sulla pelle abbronzata detta ganguro. Ganguro gyaru è anche il nome delle ragazze che vantano un’abbronzatura eccessiva. Anche le yamanba, altro celebre gruppo di ragazze trasgressive, hanno l’usanza di abbronzarsi artificialmente. I capelli delle kogyaru sono spesso decolorati castano chiaro (chapatsu), oppure il più vistoso biondo platino con riflessi argentei. Per esigenza di chiarezza, bisogna aggiungere che il tingersi i capelli non rappresenta più una stranezza considerando che questa pratica esiste da secoli in Occidente. Tingersi i capelli era una moda già presente fra le matrone dell’Impero Romano.
Molte riviste sono state dedicate alle kogyaru consacrando il loro status di fenomeno sociale, forse calcando un po’ la mano su una realtà giovanile che non ha nulla di eclatante. Fra queste riviste ricordiamo "Egg", "Urecco" e "Cream". Secondo Urasawa Naoki (2) il movimento giovanile giapponese ripeterebbe certi stilemi degli anni ’70, specialmente nell’estetica, privi però della stessa ideologia. Urasawa ritiene che l’epoca attuale è segnata da una bassa crescita demografica, e ciò impedirebbe la formazione di un movimento molto numeroso. Ridimensionare l’impatto della cultura giovanile giapponese non significa ignorarla. Piuttosto bisogna considerare meglio altri elementi della società che rimangono invisibili a causa di tanto clamore. In questo senso vi riesce Morikawa Kaichiro che elabora una teoria complessa sulle metropoli giapponesi. In precedenza avevamo accennato come le kogyaru con le loro attività integrassero le forme e i ritmi della metropoli modulandone lo spazio e il tempo. In parole semplici, una metropoli è ciò che si svolge in essa piuttosto che lo spazio artificiale degli edifici. Dunque le kogyaru sono coloro che creano fisicamente le metropoli giapponesi. Morikawa Kaichiro si spinge molto più in là. Egli ritiene che Tokyo possa essere considerata come un’unica enorme stanza privata. Si tratta di una comunità di interessi e di uno stesso gusto. Nel libro Learning from Akihabara - The birth of Personapolis, Morikawa , docente di architettura all’Università Waseda, descrive esaurientemente la sua teoria. Ciò che è decisamente innovativo in questo studio, che per certi versi riprende le idee di Ueda Atsushi, è l’attenzione all’ambiente rinunciando alle speculazioni della psicologia del profondo. L’analisi delle metropoli e della loro vita permette di elaborare una psicologia sociale e un’antropologia delle kogyaru molto più interessante e autentica. In conclusione, l’importanza che le kogyaru rivestono è dovuta soprattutto all’ambiente metropolitano che hanno creato.


Note

1. Sbagliata è l’etimologia e le deduzioni conseguenti suggerite dalla sociologa Sharon Kinsella nei suoi testi. Kogyaru non deriverebbe dalla contrazione di kokosei (studentessa delle superiori) e gyaru (ragazza). Sbagliato anche il tentativo di spiegare il termine shojo (ragazza) come rappresentativo di una figura di adolescente metà bambina metà donna prodotta dalla società industriale. Si tratta di speculazioni prive di fondamento e riscontro oggettivo.
2. Cfr. Urasawa, Naoki, 20th Century Boys, Vol.1, Panini Comics, Modena, 2002, pp.208-209.

Bibliografia

Fujii, Mihona, Gals!, Shueisha, Tokyo, 1998.
Kinsella, Sharon, Cuties in Japan, in Skov, Lise e Moeran, Brian, Women, Media and Consumption in Japan, University of Hawaii Press, Honolulu, 1995.
Leroi-Gourhan, André, Il gesto e la parola, Einaudi, Torino, 1977.
Martorella, Cristiano, Il Giappone inquieto, in "Sushi", anno III, settembre 1997.
Martorella, Cristiano, Wakamono. I paradossi della cultura giovanile giapponese, in "LG Argomenti", n.1, anno XXXIX, gennaio-marzo 2003.
Morikawa, Kaichiro, Learning from Akihabara. The Birth of Personapolis, Gentosha, Tokyo, 2003.
Murakami, Ryu, Blu quasi trasparente, Rizzoli, Milano, 1993.
Murakami, Ryu, Rabu & poppu, Gentosha, Tokyo, 1996.
Prandoni, Francesco, Il tempo delle yamanba, in "Man-ga!", n.1, maggio 2001.