sabato 24 ottobre 2009

Otaku pazzi

Articolo sugli otaku pubblicato dal sito Nipponico.com.

Otakkuru
Pazzi per i fumetti
di Cristiano Martorella

3 marzo 2005. Otakkuru è un neologismo giapponese coniato unendo la parola otaku e il verbo kuruu. Un'altra forma di otakkuru è anche otakuru, a volte usato perfino come verbo, inoltre c'è l'espressione otakuppoi, usato come aggettivo, tutte con valenze simili. Otaku è l'appassionato in maniera un po' fissata di qualcosa, specialmente inerente a manga e anime, mentre kuruu è il verbo impazzire. Quindi otakkuru significherebbe otaku pazzo, indicando quei rari casi patologici di fissazione e perdita di distinzione fra la fiction e la realtà. L'espressione nasce dalla necessità di distinguere l'otaku innocuo dall'otaku malato. Infatti la parola otaku, inizialmente usata soltanto con senso negativo e dispregiativo, ha assunto anche in Giappone un significato positivo. Per merito di artisti come Nara Yoshitomo o Murakami Takashi si è introdotto anche il concetto di cultura otaku per definire le nuove tendenze dell'arte contemporanea giapponese.
Una breve ricostruzione storica è indubbiamente utile prima di qualsiasi considerazione critica. Il termine otaku significa genericamente fissato, utilizzando la parola casa (taku) per indicare chi si chiudeva in camera per dedicarsi fanaticamente a un hobby (collezionismo, modellismo, cinema, fumetto, etc.). Poi la parola otaku fu usata per indicare particolarmente gli appassionati di fumetto e animazione. Questo utilizzo del termine fu merito del giornalista Nakamori Akio che nel 1983 pubblicò con successo un articolo intitolato Otaku no kenkyu (Studio dell'otaku) nella rivista "Manga Burikko", concentrando l'attenzione sulla figura dell'otaku. Così si ebbe una grande diffusione della parola finché un episodio di cronaca nera determinò una nuova e più negativa visione dell'otaku considerandolo un maniaco. Nel 1989 Miyazaki Tsutomu seviziò e uccise orribilmente quattro bambine. La polizia ritrovò nell'appartamento del maniaco un immenso deposito di videocassette pornografiche. Soprattutto ciò che impressionò gli investigatori fu il comportamento psicotico di Miyazaki Tsutomu che filmando gli omicidi con una videocamera ricostruì nel montaggio i film che collezionava. Egli non era in grado di distinguere la realtà dalla fiction. I giornali misero in evidenza la frequentazione del Comiket (o Komiketto, contrazione di Comics Market), il più importante raduno di otaku, da parte di Miyazaki Tsutomu, e lo identificarono così con la figura dell'otaku. Le esagerazioni della stampa scandalistica portarono a considerare tutti gli otaku come maniaci potenzialmente pericolosi. Così manga e anime, da sempre abbondanti di contenuti erotici, furono messi sotto accusa. In particolare i generi bishojo ed hentai, apparentemente riconducibili alle peggiori perversioni sessuali, e i dojinshi, fumetti amatoriali e parodie a sfondo erotico. Col tempo queste associazioni fra otaku e maniaci si rivelarono indebite e infondate. Era evidente che i criminali non avevano bisogno di ispirarsi a manga e anime per commettere i loro misfatti. D'altronde i casi di otaku coinvolti in crimini erano statisticamente irrilevanti, tanto da escludere una diretta correlazione di manga e anime con i comportamenti criminali. Eppure l'idea dell'otaku maniaco è ancora resistente al passare del tempo, nonostante ciò il significato della parola otaku ha assunto anche in Giappone delle valenze positive.
Murakami Takashi è stato l'artista che maggiormente ha difeso gli otaku appassionati di fumetto e animazione (1). Egli obiettò che il disprezzo per le forme popolari delle espressioni artistiche degli otaku mostrava platealmente il rifiuto e l'incomprensione ipocrita e perbenista. Egli fece propri gli eccessi di quelle forme d'arte e coniò il termine poku unendo le parole pop e otaku, e quindi inventò la poku culture. Fra le opere di Murakami Takashi, ricordiamo Hiropon che rappresenta la figura più vicina all'hentai. Hiropon è l'immagine di una ragazza in stile manga con due immensi seni che spruzzano latte.
Intanto il fenomeno otaku non poteva più dirsi limitato all'arcipelago nipponico. Già nel 1996 gli otaku erano definiti multietnici e presenti a livello mondiale (2) in un articolo della rivista "Sushi", fra i primi esempi italiani di fanzine per otaku. Però il successo internazionale di anime e manga trascinava con sé le stesse problematiche nate in Giappone alcuni anni prima. Si è addirittura coniato il termine Wapanese (Western Japanese) per indicare gli occidentali appassionati di tutto ciò che è giapponese, dallo stile di vita all'arte, dal cinema alla musica, dalle arti marziali ai cartoni animati. Ovviamente questi aspetti assolutamente innocui furono interpretati da molti, forse troppi, con inquietudine e sospetto. Si tentò allora di operare una differenziazione fra otaku italiani e otaku giapponesi tramite distinzioni che però erano difficilmente sostenibili considerando la sostanziale identità del fenomeno. Il termine otaku restava ambiguo e il significato dipendeva esclusivamente dall'uso che ne faceva chi lo utilizzava.
Nel 2000 Michele Scozzai pubblicava su "Focus", rivista di divulgazione scientifica, un intervento che rispolverava i vecchi stereotipi sugli otaku, concentrandosi sui contenuti erotici di manga e anime, sul presunto isolamento dei consumatori di questi prodotti, e sul pericolo potenziale delle tribù metropolitane di otaku. In effetti l'espressione otakuzoku (tribù otaku) fu molto diffusa proprio in Giappone per caratterizzare ulteriormente gli otaku. L'idea di tribù ricorda forme comunitarie arcaiche fondate su sentimenti condivisi e forti legami emotivi. La rappresentazione, anche se volutamente sprezzante, è indicativa dei caratteri autentici degli otaku. Gli otaku traggono spunto dalla cultura tradizionale giapponese, mutuandone forme e aspetti, e recuperando una sensibilità primordiale offuscata dalla modernità del modello americano.
L'otaku mostro, chiamato otakkuru o otakuru, sembra invece la rappresentazione deformata di una irrazionalità incomprensibile e deviante. La nascita e l'uso del termine otakkuru sembra però essere dettata più da motivi comici e ironici, piuttosto che da intenti di seriosa condanna. Infatti Nagai Go ha fatto ampio uso della parola otakkuru, in un episodio del manga Cutie Honey (3) per indicare un folle dinamitardo pazzamente innamorato della sua eroina televisiva preferita. L'episodio si conclude con l'intervento vittorioso di Cutie Honey, la più coraggiosa kawaikochan dei fumetti giapponesi.
Dobbiamo credere che saranno gli stessi anime e manga a salvarci dalla follia degli otaku? Con un po' di ironia la risposta è affermativa. L'otakkuru è uno spauracchio, una minaccia fantasmagorica dell'immaginazione paurosa. I manga e gli anime non hanno mai prodotto personalità criminali. Se si dovesse usare la stessa logica distorta, i registi di Hollywood dovrebbero essere condannati per istigazione all'omicidio considerando le trame dei film americani. Ciò non è possibile, quindi gli stessi criteri di giudizio usati per il cinema americano vanno adottati per l'animazione giapponese, altrimenti assisteremmo a una discriminazione intollerabile.
Siamo sicuri che i pazzi siano gli otakkuru? Qualche volta leggendo ciò che i giornalisti scrivono a riguardo della società giapponese, in particolare circa manga e anime, nasce il dubbio che si debbano coniare molti altri vocaboli come otakkuru per altri generi di eccessi ed esagerazioni. Comunque le preoccupazioni sono inutili. Se si è un otakkuru, un otaku pazzo, si può sempre sperare di farsi curare da Tatase Ruko, l'infermiera più sexy della storia dei manga (4). Ciò che non è serio va trattato senza serietà.

Note

1. Fra le tante e importanti manifestazioni che hanno ospitato le opere di Murakami Takashi, va ricordata l'esposizione alla Fondation Cartier di Parigi nell'ottobre 2002.
2. Cfr. Martorella, Cristiano, La rivoluzione invisibile, in "Sushi", anno II, n. 3, ottobre 1996, p. 64.
3. Cfr. Nagai, Go, Cutie Honey '21, vol.1, D/visual, Tokyo, 2004, p. 90. Il testo recita così: "Ah, quell'otakkuru!!", "Che cos'è un otakkuru?", "Un otaku fuori di testa!", "Ah, da kuruu di impazzire?".
4. Ci riferiamo al personaggio di Tatase Ruko inventato da Inui Haruka (pseudonimo di Nakasono Toshifumi) e protagonista del fumetto Ogenki Clinic (traduzione italiana La clinica dell'amore, News Market, Roma, 1993; edizione originale Ogenki Kurinikku, Akita Shoten, Tokyo, 1987).

Bibliografia

Bornoff, Nicholas, Pink Samurai. The Pursuit and Politics of Sex in Japan, Harper Collins, London, 1994.
Greenfeld, Karl Taro, Baburu. I figli della grande bolla, Instar Libri, Torino, 1995.
Greenfeld, Karl Taro, Deviazioni standard, Instar, Torino, 2004.
Griner, Massimiliano e Furnari, Rosa Isabella, Otaku. I giovani perduti del Sol Levante, Castelvecchi, Roma, 1999.
Martorella, Cristiano, Il kawaii prima del kawaii, in Pellitteri, Marco (a cura di), Anatomia di Pokémon. Cultura di massa ed estetica dell'effimero fra pedagogia e globalizzazione, Seam, Roma, 2002.
Martorella, Cristiano, Wakamono. I paradossi della cultura giovanile giapponese, in "LG Argomenti", anno XXXIX, n. 1, gennaio-marzo 2003.
Martorella, Cristiano, Dokusho. La lettura fra scienza e tecnologia, in "LG Argomenti", anno XL, n. 1, gennaio-marzo 2004.
Martorella, Cristiano, Yokuatsu. Repressione e giovani, in "LG Argomenti", anno XL, n. 2, aprile-giugno 2004.
Martorella, Cristiano, La rivoluzione invisibile, in "Sushi", anno II, n. 3, ottobre 1996.
Martorella, Cristiano, Il Giappone inquieto, in "Sushi", nuova serie, anno III, settembre 1997.
Martorella, Cristiano, I fumetti del ciliegio in fiore, in "Il Golfo. Quotidiano dell'area sorrentina e Capri", anno VI, 1 marzo 1996.
Morikawa, Kaichiro, Learning from Akihabara. The Birth of a Personapolis, Gentosha, Tokyo, 2003.
Scozzai, Michele, La strana tribù del Giappone, in "Focus", n. 95, settembre 2000.