mercoledì 4 novembre 2009

La poesia giapponese

Articolo sulla poesia giapponese pubblicato dalla rivista "LG Argomenti".

Cfr. Cristiano Martorella, Shiika, in "LG Argomenti", n.3, anno XXXIX, luglio-settembre 2003, pp.20-22.

Shiika
Nuove prospettive sulla poesia giapponese per l’infanzia
di Cristiano Martorella

Ritorniamo felicemente alla poesia giapponese per l’infanzia dopo aver aperto la discussione (1) su questo tema ingiustamente trascurato. La poesia giapponese genericamente viene chiamata shiika, includendo con tale termine i diversi generi della poesia antica e moderna. L’editore Fukuinkan ha pubblicato un’antologia consigliata per le scuole elementari che include opere dal Man’yoshu alla poesia contemporanea. Il volume, curato da Ibaragi Noriko, Ooka Makoto, Kawasaki Hiroshi, Kishida Eriko e Tanikawa Shuntaro, è intitolato Ooi poponta dall’omonimo componimento (2). Qui presentiamo delle traduzioni di alcune poesie tratte dalla suddetta antologia con lo scopo d’avvicinarci all’opera e riflettere sul suo intimo significato. La nostra traduzione cercherà di mettere in risalto il sentimento e il gusto degli originali, mettendo in evidenza le diversità stilistiche piuttosto che rimaneggiare le forme italiane della poesia.
Incominciamo da un haiku di Shiinomoto Saimaro (1656-1738) che attraverso un sapiente effetto di sorpresa del protagonista, il gattino, esprime una poetica delicata e attenta alle diverse prospettive della realtà.

Neko no ko ni
kagarete iru ya
katatsumuri.

Piccin di gatto
il quale annusa la
coccinella.

Fra il gioco di parole e il componimento letterario è la poesia (uta) di Shonin Myoe (1173-1232) che sembra ripetere l’effetto ottico della luce della luna anche a livello verbale (3). Il carattere omofono, ottenuto tramite l’insistenza di tre sillabe, ha carattere puramente musicale. La forma è A-A’-A-A’-A’’ ossia una variazione tipica del movimento di danza. L’effetto ottenuto è quello di movimento intorno a un punto così come la luce che scaturisce dalla luna in modo quasi ipnotico. Se la poesia provoca un capogiro, così come dopo una piroetta, lo scopo è ottenuto.

Aka akaya
aka aka akaya
aka akaya
aka aka akaya
aka akaya tsuki.

Brillante
brilla brillante
brillante
brilla brillante
brillante luna.

Taniguchi Buson, conosciuto con lo pseudonimo di Yosa Buson (1716-1783) è fra i maggiori autori di haiku oltre ad essere uno squisito pittore (4). Ricordiamo che nella tradizione giapponese, ed è così anche per il bunjin (letterato), le discipline artistiche (poesia, prosa, pittura, musica, etc.) non sono mai separate. Così Yosa Buson si distingue come pittore di delicatissime poesie.

Natsukawa o
kosu ureshisayo
te de zori.

Con i sandali
nelle mani felice
guado il fiume.

Come ha ribadito Gian Carlo Calza (5), la semplicità dell’estetica e poetica giapponese è solo apparente, ed è il risultato di un raffinatissimo lavoro dell’artista. La semplicità non è considerata come mancanza di complessità, è invece vero il contrario, ed è assunta piuttosto come ricerca di autenticità e spontaneità.
Il capolavoro di Yosa Buson è un haiku che è la visione serale di una scena molto cara ai giapponesi.

Suzushisa ya
kane o hanaruru
kane no koe.

Quale freschezza,
il rintocco lasciato
dalla campana.

La poesia, espressione diretta dell’esperienza estatica, non ha bisogno di complicati commenti piuttosto necessita di libertà e leggerezza. Leggerezza e libertà soprattutto dalla retorica. Eppure la leggerezza è direttamente proporzionale alla responsabilità. Più aumenta la retorica e maggiore diviene la pesantezza. Viceversa quando la letteratura diventa viva, e responsabile di ciò che afferma, essa assume un carattere diafano, puro e trasparente come il cristallo. Perciò il letterato è certamente investito da una missione: eliminare le spurie e produrre letteratura purissima. Le parole di Natsume Soseki restino dunque come monito.

Kotoba ga kuki ni hado o tsutaeru bakari dewanaku, motto tsuyoi mono ni motto tsuyoku hataraki kakeru koto ga dekiru kara desu. (6)

Le parole non trasmettono soltanto onde nell’aria, poiché le cose più forti con più forza possono smuovere.

Se oggi le parole non smuovono alcunché vuol dire che non vi sono letterati degni di tal nome. Concludiamo dunque segnalando il bisogno di una sana cura ricostituente di poetica. Ecco la lezione dei giapponesi e la loro medicina buona per i grandi e i piccini.

Note

1. Cfr. Martorella, Cristiano, La poesia giapponese per bambini, in "LG Argomenti", n.1, anno XXXVIII, gennaio-marzo 2002, pp. 23-29.
2. AA.VV., Ooi poponta, Fukuinkan, Tokyo, 2001. L’espressione ooi poponta è un gioco di parole, l’anagramma del nome del fiore del dente di leone, in giapponese tanpopo. Cogliamo l’occasione per ringraziare Kawazoe Yuki che ci ha donato il volume in questione.
3. Qui c'è un gioco di polisemia, ossia di significati diversi uniti in una sola parola. Aka è rosso, ma anche l'abbreviazione di akarui che significa brillante, lucente, luminoso. Aka aka significa luminosamente, ma anche fiammeggiante.
4. Cfr. Riccò, Mario e Lagazzi, Paolo, Il muschio e la rugiada. Antologia di poesia giapponese, Rizzoli, Milano, 1996, pp. 117-128.
5. Calza, Gian Carlo, Stile Giappone, Einaudi, Torino, 2002.6. Cfr. Natsume, Soseki, Kokoro, Iwanami shoten, Tokyo, 1927, p.161.