Articolo sulla religione e la mistica erotica giapponese pubblicato dal sito Nipponico.com.
Nikutai
La mistica erotica giapponese
di Cristiano Martorella
18 febbraio 2002. La parola giapponese nikutai significa “corpo e carne”. A questo significato semplice e intuitivo vogliamo aggiungere, tramite un’esplorazione nei sensi, ulteriori scoperte che riguardano il mondo giapponese. Lo scopo di questa indagine è la rivelazione di una mistica del corpo che si ritiene presente nell’immaginario collettivo giapponese e attraverserebbe i valori vitalistici del paganesimo (shintoismo), il distacco dall’io (zen), l’abbandono nell’esperienza sensualistica (ukiyo) e l’affermazione del desiderio erotico (shikido).
L’antropologo Fosco Maraini ha definito i giapponesi come gli “ultimi pagani”. Una considerazione corretta se si considera l’influsso dello shintoismo, autentica forma di paganesimo politeista, nell’immaginario nipponico. Ed è proprio dallo shintoismo che trae la sua forma la concezione del corpo come attrattiva erotica e potenza sessuale. Addirittura sarebbe all’origine dell’energia creatrice dell’universo. Il Kojiki (712 d.C.) ci documenta in più parti questa cosmogonia erotica.
“Quando il caos aveva cominciato a condensarsi, ma la forza e la forma non si erano manifestate, niente aveva un nome e niente era ancora fatto. Chi poteva sapere che aspetto avrebbe assunto? Tuttavia il cielo e la terra si divisero, e gli dei cominciarono ad operare. […] Gli dei celesti comandarono alla coppia Izanagi e Izanami di creare, consolidare e far vivere la terra galleggiante del Giappone. Consegnarono una lancia e con essa mescolarono. Essi agitarono l’acqua del mare finché divenne densa, poi sollevarono la lancia, e l’acqua che gocciolava [rappresentazione dell’eiaculazione, ndr] divenne un’isola. […]
Izanagi chiese a Izanami: Com’è fatto il tuo corpo?
Ella rispose: Il mio corpo cresce rigoglioso, ma una sua parte non cresce.
Izanagi le disse: Anche il mio corpo cresce, ma c’è una parte che cresce in eccesso. Pertanto, mi sembra giusto introdurre la parte del mio corpo in eccesso nella parte del tuo corpo che non cresce, e così generare territori.
Izanami rispose: Sono d’accordo.” (Futo no Yasumaro, Kojiki, 1)
L’amplesso sessuale fra il maschio (Izanagi significa maschio che seduce) e la femmina (Izanami, ovvero femmina che seduce) restituisce armonia e potenza al corpo capace di “generare territori”. Ma l’episodio più emblematico della mistica erotica giapponese è da individuare nella danza lasciva della dea Ame no Uzume. Una danza rituale dall’alto contenuto erotico che salvò addirittura il mondo. La dea solare Amaterasu, oltraggiata dal fratello Susanoo, si era rifugiata in una grotta privando il mondo della luce. Gli dei erano accorsi per porre rimedio alla disgrazia, ma non sapevano come fare. Intervenne Ame no Uzume che già in precedenza aveva salvato il mondo convincendo il dio Sarutabiko seducendolo con le sue grazie. Ella abbassò le vesti sui fianchi fino a scoprire il pube e cominciò a ballare sinuosamente. Questa danza di Uzume che batteva ritmicamente i piedi su un tino rovesciato è considerata l’origine dei kagura (letteralmente “danza degli dei”, antiche danze rituali che si svolgevano nei templi shintoisti). L’esibizione del corpo femminile nudo sprigionerebbe, secondo credenze e pratiche occulte, una forza magica. La danza discinta di Uzume avrebbe dunque un’origine sciamanica.
Nello shintoismo ampio spazio sarebbe riservato anche ai culti fallici e ai riti di fertilità connessi. Nell’altarino domestico (engidana o kamidana) veniva spesso venerato un simbolo fallico di buon auspicio. Molto frequenti nelle campagne, questi culti della fertilità assumevano un valore sacro di estrema importanza che collegava la sessualità e la potenza erotica alla prosperità della terra e al lavoro agricolo. Come l’uomo seminava nel corpo della donna, così avrebbe seminato nel corpo della terra. Anche la divinità Inari, tipica del mondo contadino giapponese, rivela la sua duplice natura potendo trasformarsi da volpe in seducente donna. Ancora una volta, tramite il corpo femminile (autentico catalizzatore), si manifesta la potenza della natura che condensa in sé le forze magiche della vita.
La mistica erotica giapponese si arricchisce di nuovi elementi grazie al contributo del buddhismo. Sarebbe ingannevole ritenere il buddhismo una semplice pratica ascetica priva di relazioni con la sessualità. In realtà, nell’analisi psicologica del buddhismo risiede l’essenza del libertinaggio giapponese. Non soltanto la terminologia sessuale nacque in ambito buddhista, ma anche l’intera concezione dell’eros come strumento per giungere all’illuminazione (una vecchia teoria di matrice tantrica). Il mondo fluttuante (ukiyo) sarebbe quel mondo dei sensi evanescente ed effimero che ci rivela la nostra stessa natura ingannevole. I sensi (iro) sarebbero essi stessi null’altro che vuoto (sora). Così come riassunto dal motto: shiki soku ze ku. Il riconoscimento della vacuità del mondo, ma soprattutto della vacuità dell’io, è il passo cruciale di una concezione erotica dell’esistenza. L’erotismo è essenzialmente uscire fuori di sé. Come atto fisico è sempre lo stesso e insignificante, ma come atto psichico accresce se stesso e si estende al di là dei limiti dell’ego. Si comprende che l’atto sessuale è nulla, e bisogna moltiplicarlo nella psiche tramite la coscienza, riconoscendo la vacuità del corpo e distaccandosi dall’io.
I giapponesi considerarono la questione in maniera molto seria e diedero un nome preciso a quest’arte erotica, chiamandola iro no michi (anche letta shikido). La “via dei sensi” (shikido) forniva una quantità di istruzioni, consigli e strumenti per coltivare l’educazione del libertino. Le stampe erotiche (shunga) prosperarono insieme ai romanzi licenziosi come Koshoku ichidai onna, Nanshoku okagami e Koshoku gonin onna di Ihara Saikaku (1642-1693).
Il binomio buddhismo-erotismo ebbe una personificazione nella figura storica di Ikkyu, monaco della scuola rinzai e abate del Daitokuji di Kyoto. Ikkyu Sojin (1394-1481) era figlio illegittimo dell’imperatore Go Komatsu, fu un critico severo della corruzione dei monasteri, ma anche un frequentatore assiduo di bordelli. Ikkyu è l’autore delle pagine più intense della letteratura erotica giapponese. Nella sua opera Kyo’unshu (Raccolta della nube folle) tratta nella terza parte argomenti lascivi come “il piacere di abbracciare, baciare” e “leccare gli umori di una bella donna”. Non c’è contraddizione fra lo zen e l’erotismo, ma l’uno completa l’altro. Soltanto una morale bigotta e borghese può interpretare come decadente l’opera di un maestro buddhista che aveva trovato nella vulva un’incarnazione (bodhisattva) dell’illuminato. Infatti è la morale bigotta e strumentale che usa e definisce l’atto sessuale come merce di scambio di un rapporto commerciale sancito dal contratto matrimoniale. La libertà sessuale è inscindibile dalla libertà individuale. Lo zen, come pratica liberatoria, si oppone a qualsiasi restrizione che incatena l’individuo alle illusioni (compreso il falso moralismo che nasconde gli interessi di una classe o società). Alcune poesie di Ikkyu possono illuminarci della sua saggezza.
Fantasticando nel giardino della bella Mori,
un ramo fiorito di prugno sul letto, fedeltà nel cuore del fiore.
La mia bocca è colma della pura fragranza di quel basso ruscello,
brume e ombre lunari mentre cantiamo la nostra nuova canzone.
Il suo profumo si mescola al mio fiore di prugno.
Ci scambiamo in pegno una carezza simile a due o tre fili d’erba.
Lei fa l’amore come una graziosa ninfa di fiume.
Questo sentimento notte dopo notte, il mare zaffiro, azzurro il cielo.
La cieca Mori canta notte dopo notte con me,
sotto le coperte, come anatre mandarine, nuove parole intime.
Ci promettiamo di stare insieme sino all’alba di salvezza di Maitreya.
Nella casa di questo vecchio Buddha tutto è primavera.
Una trattazione sulla mistica erotica giapponese non sarebbe completa senza la citazione dell’opera della poetessa Yosano Akiko (1878-1942). L’importanza di Yosano Akiko per la poesia erotica giapponese è fondamentale. La sua raccolta Midaregami (Capelli arruffati, 1901) contiene i più appassionati e sensuali tanka del Novecento. Yosano Akiko fu un personaggio a suo modo straordinario per l’epoca, anticipando il movimento di emancipazione femminile e di libertà sessuale. Oppressa dal padre, un commerciante dalla rigida etica confuciana, si immerse negli studi letterari come forma di evasione. In particolare, lesse avidamente la letteratura delle dame di corte dell’epoca Heian (794-1185) e i diari delle cortigiane. E tradusse in giapponese moderno il Genji monogatari. Quando lesse una poesia di Tekkan sul giornale Yomiuri, lasciò casa e lo raggiunse divenendo una delle sue donne. Le focose poesie del Midaregami furono considerate di una sensualità provocante e sorprendente. Quale modo migliore, dunque, per sintetizzare la mistica erotica giapponese del corpo? La poesia di Yosano Akiko può farlo meglio di qualunque altra parola.
Chibusa osae
shinpi no tobari
soto kerinu
kokonaru hana no
kurenai zo koki.
Spingendo dolcemente
ho schiuso quella porta
che chiamano mistero.
Mammelle turgide
strette nelle mani.
(Yosano Akiko, Midaregami, 68)
Bibliografia
Campbell, Joseph, Le maschere di Dio. Mitologia orientale, Arnoldo Mondadori, Milano, 1991.
Frabetti, Giuliano e Vantaggi, Adriano, Bellezza e Eros nell’immaginario giapponese, Comune di Genova, Genova, 1985.
Galimberti, Umberto, Il corpo, Feltrinelli, Milano, 1983.
Maraini, Fosco, Gli ultimi pagani. Rizzoli, Milano, 2001.
Riccò, Mario e Lagazzi, Paolo, Il muschio e la rugiada. Antologia di poesia giappones, Rizzoli, Milano, 1996.
Takeda, Yukichi e Nakamura, Hitoshi (a cura di), Kojiki, Kadokawa shoten, Tokyo 1993.
Tsugita, Masaki (a cura di), Kojiki, Kodansha, Tokyo, 1980.
Yosano, Akiko, Midaregami, Shinchosha, Tokyo, 1901.