Articolo sulla poesia giapponese e la pedagogia pubblicato dalla rivista "LG Argomenti".
Cfr. Cristiano Martorella, La poesia giapponese per bambini, in "LG Argomenti", anno XXXVIII, n. 1, gennaio-marzo 2002, pp. 23-29.
La poesia giapponese per bambini
di Cristiano Martorella
1. L’Oriente come problema ideologico
La fama della poesia orientale è ormai ben diffusa in Europa, grazie anche all’acume di letterati come Johann Wolfgang Goethe che svolsero in maniera pionieristica un avvicinamento alla cultura orientale in tempi lontani e difficili. Il caso di Goethe, autore del Divano occidentale-orientale (Westöstlicher Divan, 1814-1819; opera nata da un protratto studio della poesia persiana come quella di Hafiz), non fu isolato nell’Ottocento. Sempre in Germania ricordiamo Friedrich Rückert che scrisse Rose orientali (1822) e La saggezza del bramino (1836-1839), e August Platen-Hallermünde, autore di Gazele (1821). Il confronto con la civiltà orientale fu uno stimolo per gli intellettuali europei che caricarono di valenze politiche gli studi letterari. Il riconoscimento di culture "altre" capaci di produrre civilizzazione, conoscenza ed arte, fu una bandiera del relativismo culturale, oggi fortemente osteggiato.
Per quanto riguarda la poesia giapponese, oggetto di questa trattazione, essa raggiunse agli inizi del Novecento una grande ammirazione in Italia, dovuta soprattutto ai gusti dell’epoca. Erano le poesie d’amore a colpire l’immaginazione dei lettori già avvezzi alle languide sensualità del verso dannunziano. Su tale gusto prosperò una certa editoria, fra cui la casa editrice L’Estremo Oriente di Villafranca di Verona, che presentò le traduzioni del capitano Bartolomeo Balbi. Questa diffusione ebbe effetti positivi, ben maggiori rispetto a quelle note negative che potrebbero essere rintracciate (esotismo superficiale e cliché). Oltre ad un aspetto commerciale, queste pubblicazioni ebbero un riflesso in lavori seri e ben fatti, come la Letteratura e crestomazia giapponese (1915) di Arcangeli. Passando ai nostri tempi, osserviamo con soddisfazione che sono state pubblicate recentemente ottime traduzioni italiane delle poesie giapponesi, fra cui segnaliamo quelle curate da Sagiyama Ikuko e Muramatsu Mariko.
Quindi non è minimamente messa in dubbio l’importanza della poesia giapponese. Strano, invece, che nel momento in cui si tratti la letteratura per l’infanzia, essa svanisca di colpo, e i nostri critici, colpiti da amnesia, si rinchiudano in un’ottica etnocentrica che separa i bambini italiani dall’infanzia del resto del mondo. Tale mancanza non è certo imputabile alla poesia giapponese, repertorio ricchissimo che presenta un filone anche per bambini. Bisogna denunciare chiaramente quello che sta avvenendo. Contrariamente agli slogan che inneggiano al multiculturalismo, si assiste a una volontà di omologazione e conformismo seriamente intenta a eliminare ogni diversità. Si fa un perverso uso di pedagogia e sociologia, utilizzate strumentalmente e in modo non scientifico, per sostenere un’uguaglianza - non dei diritti - ma di pensiero: un’uguaglianza che schiaccia il diverso.
Cosa c’è, dunque, di più sovversivo, creativo e libero della poesia? La poesia si pone anche al di sopra del linguaggio, ella stessa partorisce la lingua. La poesia unisce emozioni e raziocinio nella parola, la poesia ordina e crea il mondo, la poesia è l’atto sublime che rende all’uomo la sua umanità. Tutto ciò aumenta la gravità di una mancanza di studi adeguati sulla poesia giapponese per bambini, una carenza che è comprensibile soltanto alla luce di pregiudizi ideologici. A dimostrazione di quanto affermato, è illuminante un passo di Rita Casadei che esplicita la concezione italiana della letteratura giapponese per l’infanzia.
"Per concludere vorrei esprimere alcune considerazioni sul valore e funzione sociale e relazionale delle favole. La presenza, quasi consueta, di una guida all’interpretazione in chiave morale del significato della favola lascia intendere la volontà (che in Giappone è necessità) di fissare, in una rigida cornice, il sistema di valori della società giapponese, incanalando in quella direzione il pensiero e l’azione dei bimbi. Tra i più importanti valori sociali comunicati mediante la favola occupano il primo posto il rispetto per la gerarchia dei poteri, e per quella generazionale, a sostegno dei quali gioca un ruolo fondamentale un linguaggio elaborato e oltremodo ossequioso, accompagnati dal sacrifico e dall’obbedienza celebrati come virtù necessarie e funzionali al raggiungimento del consenso sociale, vero motore, in Giappone, delle relazioni interpersonali. Poco spazio viene riservato alla dimensione creativa, tanto che l’unicità non è quasi mai connotata positivamente costituendo piuttosto un elemento di disturbo dell’armonia sociale: uniformità e omogeneità sono regole della convivenza che è bene imparare da subito. È sempre percettibile una sottile voce che invita e addestra all’ubbidienza, alla rassegnazione, all’ordine, all’agire in conformità delle regole per ottenere il plauso della comunità." [Cfr. Rita Casadei Okada, La letteratura giapponese per ragazzi, in "Il Pepeverde", n.3/2000, p.27]
Secondo Rita Casadei, i bambini giapponesi sarebbero ridotti a macchinette programmate, ubbidienti e servili. Una prospettiva non soltanto irrealistica ma che sembrerebbe quasi essere viziata da un pregiudizio razziale. Una certa ideologia, purtroppo, si è spesso basata su questa idea di inferiorità e mancanza d’anima dell’individuo straniero (cfr. Marvin Harris, L’evoluzione del pensiero antropologico, Il Mulino, Bologna 1971, pp.109-144). Per una conoscenza corretta della vita dei bambini giapponesi si consulti invece Joseph Tobin e il suo approfondito studio (cfr. Joseph T. Tobin, David Y. H. Wu, Dana H. Davidson, Infanzia in tre culture. Giappone, Cina e Stati Uniti, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000, pp.5-89). Si apprenderà la grande libertà di cui godono i bambini giapponesi, il metodo d’insegnamento definito della "vivacità flessibile" e la tolleranza degli educatori. Circa il rispetto della gerarchia, evocato da Casadei con serietà, fa soltanto sorridere per l’ingenuità dimostrata. Il rispetto formale non è un’esclusiva giapponese. Noi italiani ci vantavamo, una volta, del nostro stile, della galanteria e del rispetto dell’etichetta. Si usava chiamare tutto ciò civiltà. In Giappone le gerarchie non sono eterne. Gli storici, ad esempio, chiamano ge koku jo (quelli in basso passano quelli in alto) il periodo politico che vide l’affermazione dei Tokugawa e di nuove classi. Si pensi anche a Hideyoshi, uomo di umili origini, divenuto taiko (granduca) per i meriti militari. Ciò dovrebbe far riflettere su quanto siano flessibili, in effetti, le "gerarchie" giapponesi.
I giapponesi non sono un popolo di marionette come spesso si è descritto, ma persone sensibili e capaci dotate di grande creatività. Per nascondere tutto ciò si deve ricorre continuamente a sotterfugi, inganni e menzogne. Ed è questa l’operazione ideologica che divide il mondo in buoni e cattivi, in Occidente e Oriente. A tal proposito è straordinaria la lucidità mentale di Giorgio Bini che smaschera anch’egli questa divisione: "la possibilità di crescere liberi e solidali, di comprendere e cambiare il mondo, di amarsi di là dalle divisioni e dai conflitti, non è più di moda" (cfr. Giorgio Bini, Rodari, ideologia e pedagogia, in "LG Argomenti" n.4 ottobre-dicembre 2000, p.45). Ma ritorniamo alla poesia, sperando che ci liberi da questo carico ideologico oppressivo e avvilente.
2. La poesia nella vita dei giapponesi
La poesia occupa un posto molto importante nella vita dei giapponesi, vedremo in quale modo e a quanti diversi livelli. Il primo aspetto riguarda l’identità nazionale e l’autonomia culturale. Nell’antichità il Giappone attinse dalla civiltà cinese quanto mancava per il proprio sviluppo, ma la poesia giapponese rimase sempre una prerogativa autoctona distinguendosi rapidamente dai modelli cinesi per lingua, metrica e stile, rappresentando il primo nucleo di una civiltà indipendente. La più famosa antologia poetica fu il Man’yoshu compilata da Otomo no Yakamochi intorno al 760. Segue per importanza il Kokinshu, antologia curata da Ki no Tsurayuki e altri verso il 920 circa. Questi lavori fondamentali sono serviti da base per ogni sviluppo successivo. Si pensi, ad esempio, all’attuale inno nazionale giapponese (Kimigayo) ricalcato su una antica poesia del Kokinshu.
Viva il mio signore
per mille, ottomila regni,
finché un ciottolo
non diventi roccia
e il muschio vi cresca !
[Trad. di Sagiyama Ikuko, Kokin Waka shu, Ariele, Milano, 2000, p.244]
Ma questo è soltanto il livello che riguarda la storia giapponese, ed è forse il più semplice ed evidente. Il livello maggiormente ricco e complesso è invece quello che riguarda la vita quotidiana e affettiva dei giapponesi. Prima di parlarne dobbiamo però fare un passo indietro. Il continuo equivoco degli occidentali che contrappongono tradizione e modernità giapponese potrebbe ancora ostacolare la comprensione. Seppure la poesia giapponese ebbe le sue origini nelle classi agiate dell’aristocrazia, le dinamiche sociali del Giappone trasferirono l’arte poetica prima dall’aristocrazia all’alta borghesia, e poi dalla borghesia ad ogni strato della società. Tanto che oggi la poesia è un passatempo (shumi) coltivato un po’ da chiunque grazie al sostegno di riviste letterarie, ai concorsi, agli incontri. Questo processo di democratizzazione della letteratura va evidenziato per sgombrare la mente da falsi stereotipi. Miyazawa Kenji, il più importante scrittore giapponese per bambini, ci appare come una figura di poeta-contadino che reca in una mano la vanga e nell’altra la carta da scrivere. Persino la sua opera è intrisa dell’aroma della terra in un felice connubio d’arte, natura e spirito (cfr. Shin kohon Miyazawa Kenji zenshu, Chikuma Shobo, Tokyo, 1996).
L’idea di una cultura giapponese esclusivamente radicata all’aristocrazia sarebbe tanto parziale quanto falsa. E tradirebbe molte delle aspirazioni dei tanti scrittori e intellettuali giapponesi. Questa premessa ci permette finalmente di comprendere l’uso della poesia come mezzo di comunicazione nella vita quotidiana. Il patrimonio poetico condiviso e interiorizzato dal popolo giapponese è sentito come vivo e sincero. La poesia non è considerata una tecnica del letterato, ma un mezzo di comunicazione fra l’individuo e l’ambiente, fra i singoli membri di una comunità. L’abilità del poeta è attribuita alla sua sensibilità e al gusto, alle sue qualità umane piuttosto che a un vacuo tecnicismo. Recentemente Sagiyama Ikuko ha presentato al XXV convegno di studi sul Giappone (Venezia, 4-6 ottobre 2001) una bella relazione, insieme ad altri conferenzieri, intitolata La funzione della poesia nella società. Ciò a conferma dell’importanza e valore dell’argomento qui trattato.
3. Concetti estetici giapponesi
Questi presupposti ci aiutano a capire la diversa estetica della poesia giapponese. E ci indicano anche le difficoltà che si interpongono fra il critico occidentale e l’oggetto del suo studio. Alcuni concetti estetici che caratterizzano l’arte giapponese sono wabi, sabi, hosomi, shiori e karumi. Wabi è un gusto semplice, povero, puro e austero. Sabi è un ideale estetico che rimanda alla patina del tempo, alla solitudine, alla quiete e semplicità. Hosomi è una finezza della sensibilità, shiori è la delicatezza dell’espressione, e infine karumi è la leggerezza. La poesia giapponese è dunque improntata a una raffinatezza raggiunta con semplicità. Il vertice di questa poetica è rappresentato dagli haiku (poesia di 5-7-5 sillabe) di Matsuo Basho (1644-1694).
Furuike ya
kawazu tobikomu
mizu no oto.
Antico stagno
una rana si tuffa
d’acqua baruffa.
Yamaji kite
naniyara yukashi
sumiregusa.
Lungo il sentiero
raffinata cosetta
fior di violetta.
Yagate shinu
keshiki wa miezu
semi no koe.
Non sembra eppure
fra breve la cicala
col canto esala.
[Matsuo Basho, Basho kushu, trad. di Cristiano Martorella]
4. Antologia della poesia giapponese per bambini
Arriviamo infine alla trattazione di un interessante libro che è davvero pertinente. Si tratta di un’antologia della poesia giapponese per bambini consigliata alle scuole elementari. Ooi poponta è il titolo del volume ispirato a una poesia della raccolta. I curatori sono Ibaragi Noriko, Ooka Makoto, Kawasaki Hiroshi, Kishida Eriko e Tanikawa Shuntaro, l’editore Fukuinkan Shoten. Leggiamo Tanpopo di Kawasaki Hiroshi:
Tanti fiori di dente di leone volano via.
Ognuno ha il suo nome.
Ehi ! Taponpo.
Ehi ! Poponta.
Ehi ! Pontato.
Ehi ! Potapon.
Non cadete nel fiume.
[Trad. di Kawazoe Yuki]
Il dente di leone (in giapponese tanpopo) è quella piantina nei prati chiamata popolarmente soffione (nome scient. Taraxacum). Essa è tipica perché rilascia nell’aria i suoi semi con un leggero soffio sui fiori. Nella poesia di Kawasaki ogni seme ha il suo nome. Il rimando all’umanità è evidente. Anche se sembriamo uguali ciascuno ha il suo nome, personalità e storia, e l’augurio è che non si perda nel fiume. L’uguaglianza si fonda sul rispetto della diversità perché uguaglianza non deve significare omologazione.
5. Alla pioggia non si arrende
Il più importante autore giapponese di racconti per ragazzi fu Miyazawa Kenji (1896-1933). Egli scrisse anche numerose poesie che per modestia, e per la forma inconsueta e innovativa rispetto ai precedenti generi, chiamò shinso sketch (abbozzi dell’immaginazione). La poesia più famosa di Miyazawa è Ame ni mo makezu (Alla pioggia non si arrende) in cui descrive l'ideale di uomo secondo la sua riflessione esistenziale e religiosa.
Alla pioggia non si arrende,
al vento non si arrende,
alla neve e al caldo estivo non si arrende,
ha un fisico robusto.
Mai adirato,
non ha smanie,
sempre sereno e sorridente.
Ogni giorno mangia settanta grammi di riso integrale,
il miso e un po' di verdura.
In tutti i casi
non bada a se stesso
per conoscere, capire
e non dimenticare.
Vive in una piccola capanna di paglia
all'ombra di un bosco di pini.
Se ad est c'è un bambino ammalato
va ad assisterlo,
se ad ovest c'è una madre stanca
va per portarle quei fasci di riso,
se a sud c'è un moribondo
va per dirgli di non avere paura,
se a nord c'è un litigio o un contenzioso
va a dire di lasciar perdere le cose insignificanti.
Quando è periodo di siccità piange,
quando è estate fredda cammina preoccupato.
Da tutti viene detto un sempliciotto,
non è mai lodato,
però non è nemmeno causa di sofferenza.
Io voglio diventare
una persona così.
[Trad. di Cristiano Martorella]
La poesia giapponese cambia forma ma non tradisce i suoi ideali: l’assoluta libertà dell’uomo attraverso la poetica, autentica risorsa dell’umanità.
Bibliografia
AA.VV., Ooi poponta, Fukuinkan, Tokyo, 2001.
AA.VV., Miyazawa Kenji no sekaiten, Asahi Shinbunsha, Tokyo,1995.
Kato, Shuichi, Storia della letteratura giapponese, Marsilio, Venezia, 1989.
Matsuo, Basho, Basho kushu, Iwanami Shoten, Tokyo,1962.
Miyazawa, Kenji, Shin kohon Miyazawa Kenji zenshu, Chikuma Shobo, Tokyo, 1996.